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LE ANALISI – Grazie alla collaborazione con l’Università di Brescia, nel laboratorio di Tossicologia Industriale diretto proprio da Mutti sono state effettuate delle prove di rilascio su una moka importata dall’altra parte del mondo (e con molta probabilità venduta anche in altre città) che hanno evidenziato la cessione di metalli tossici in quantità maggiori rispetto ad una caffettiera prodotta in Italia, sulla quale sono stati fatti gli stessi test.
A parte il manganese, nello stesso ordine di grandezza – spiega Mutti-, tutti gli elementi, in particolare il piombo, sono risultati molto più elevati».
Il rapporto tra le due macchinette vede infatti un rilascio di piombo in quella cinese maggiore di 50 volte rispetto alla moka Made in Italy, mentre per quanto riguarda il nichel il rapporto è di 17,9. In altre parole, durante i test in laboratorio, la caffettiera importata (e tra l’altro rivenduta senza marcatura CE) ha rilasciato 5,5 microgrammi al litro di piombo contro gli 0,11 mcg/L di quella nostrana e 3,4 mcg/L di nichel contro lo 0,01 mcg/L dell’altra.
Ma non solo: anche il rapporto tra gli altri metalli confrontati non gioca a favore della caffettiera cinese, che, è importante sottolinearlo, si può trovare anche sugli scaffali di altri negozietti low cost non gestiti da stranieri. Il rapporto sul rilascio di rame, ad esempio, è risultato maggiore nella macchinetta cinese di 10,6 volte rispetto a quella italiana, mentre il rapporto relativo al vanadio è di 17,7.
«RILASCIO PREOCCUPANTE» – Alla luce di tutto questo si può dunque affermare che quella caffettiera prodotta in Asia sia davvero pericolosa? «Difficile stabilirlo, bisogna tener conto anche di altri fattori -risponde Mutti-: ad esempio bisognerebbe vedere quante persone bevono il caffè preparato dalla moka, quanto siano soggetti suscettibili a intossicazioni e se si tratta di rilasci continui nel tempo o che oppure si verificano solo quando è nuova».
I rischi, insomma, sono potenziali. «Senza creare allarmismi ingiustificati, se si viene a conoscenza di un pericolo è meglio evitarlo» è pertanto il consiglio del professor Mutti, il quale precisa che le prove di rilascio effettuate consentono di definire la quota di metallo tossico bio-accessibile e non quella bio-disponibile.
Che vuol dire? Per comprendere il primo concetto basta prendere come esempio le monete da un euro: contengono nichel ma in una lega che riesce a trattenerlo al suo interno, senza cederlo e rendendolo quindi innocuo.
La biodisponibilità consente invece ad una sostanza di essere assorbita ed entrare in circolo nel nostro organismo, causando eventualmente effetti nocivi.
«Le prove di rilascio -spiega Mutti- consentono di definire la quota di metallo bio-accessibile ma non la quota bio-disponibile, che dipende dalla solubilità e dallo stato di ossidazione del composto rilasciato. Tuttavia, pur con questi limiti, il rilascio di piombo e nichel mi sembrano preoccupanti».
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